Il JU/DO, via dellacedevolezza

Il JU/DO, via della cedevolezza, è una disciplina di combattimento corpo a corpo, a contatto continuo, basata principalmente sulla lotta in piedi, effettuata utilizzando tecniche di proiezione e la lotta a terra che contempla l’uso di immobilizzazioni, leve articolari, soffocamenti e strangolamenti. 

Nasce in Giappone nel 1882, ad opera del Prof. Jigoro Kano, come rielaborazione in chiave educativa delle tecniche di due scuole di jūjutsu, la Tenshin Shin’yō Ryū e la Kitō Ryū. Kano formulò il jūdō basando l’addestramento non solo sullo studio dell’attacco e della difesa, ma soprattutto su  dei principi morali ed etici: 
Seryoku Zen’yo : Il miglior utilizzo delle energie fisiche e mentali 
Ji Ta Kyo ei: Noi e gli altri per la mutua prosperità / Sōjō-Sōjō” (  Aiutarsi, Concedersi) 

« Il termine "jūdō" è stato usato in tempi remoti antecedenti alla restaurazione Meiji, ma generalmente si preferiva dire "jūjutsu", o più comunemente "yawara" (cedevolezza), che compendia il precedente: l'uno richiamandosi all'agilità vera e propria e l'altro alle tecniche di attacco e difesa. »: KANO JIGORO 

Il jūdō nella sua pratica sportiva ed educativa non prevede l’uso di tecniche di calcio, pugno o colpi in generale. 

Lo si pratica a piedi nudi, su una superficie definita tatami, generalmente sita in un luogo definito dōjo, ovvero luogo dove si pratica la via.  
Richiede la vestizione di un abito specifico, definito jūdō-gi (abito per il jūdō) bianco o blu ed una cintura di colore equivalente al grado di abilità ed esperienza acquisita. Nella sua pratica “tradizionale” il jūdō contempla anche lo studio dei principi di difesa personale e delle tecniche di combattimento reale. 

Dal 1964 il jūdō è riconosciuto sport olimpico ed è praticato in tutto il mondo, da circa 5 milioni di persone. 

I praticanti di jūdō scandiscono il proprio apprendimento vestendo delle cinture di colorazioni differenti. I gradi del jūdō vengono suddivisi in kyū per le cinture colorate ed in Dan per le cinture “nere”.  L’arcobaleno delle cinture utilizzato per i gradi kyū differenzia le abilità tecniche dei praticanti, attribuendo ad ogni kyū un colore di obi (cintura) differente, così come per le cinture “nere”. 

kyū: 

VI kyū: bianca 
V kyū:  gialla 
IV kyū: Arancione 
III kyū: Verde 
II kyū:  Blu 
I kyū:  Marrone 

Dan 

I -V Dan : Nera 
VI-VIII Dan: Bianco Rossa 
IX - X Dan: Rossa 

[Le donne indossano una obi percorsa nel suo centro da una striscia di colore bianco. 
Questa striscia rappresenta la forma pura del jūdō, l’essenza della cedevolezza. 
Il Joshi jūdō, jūdō delle donne, fu di grande ispirazione per il Prof. Kano. 

Kano Jigoro: “Quando volete vedere il vero jūdō, recatevi nella sezione femminile…”] 

Cos’è il Kodokan-Judo 

Da un articolo redatto dal fondatore: 

“JUDO” 
FEBBRAIO-APRILE GIUGNO-NOVEMBRE 1915 
E GENNAIO-MAGGIO 1916 

 Il termine “Jjūdō” è stato usato in tempi remoti antecedenti alla restaurazione Meiji, ma generalmente si preferiva dire “jūjutsu”, o più comunemente “yawara”, che compendia il precedente: l’uno richiamandosi all’agilità vera e propria e l’altro alle tecniche di attacco e difesa. […] 

[…] Il jūdō è la Via (Do) più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale. 

Allenarsi nella disciplina del jūdō significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l’addestramento attacco-difesa e l’assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Il perfezionamento dell’io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l’obiettivo ultimo del jūdō.[…] 

Il Fondatore: 
Jigoro Kano è nato il 28 ottobre 1860 nella località balneare di Mikage, nella prefettura di Hyogo, vicino a Kobe, in Giappone da una famiglia di noti produttori di Sakè. 
Suo padre, Jirosaku Mareshiba Kano, aveva però abbandonato il mestiere tradizionale di famiglia per diventare funzionario civile presso il Ministero della Marina Militare, entrando così in contatto con molti personaggi di primo piano del mondo politico giapponese che in seguito ebbero molta influenza sulla formazione e sulla carriera del figlio. 
Jigoro Kano fu, sin dalla più giovane età, un bambino dotato di grande facilità di apprendimento ma fisicamente esile, debole e di salute cagionevole. 
Nel 1871 si trasferì a Tokyo con la famiglia e nel 1873 si iscrisse ad una scuola di inglese privata situata nei pressi del bosco di Shiba. 
Fu in quel periodo che il giovane Jigoro Kano, contro il consiglio del suo medico, decise di fare qualcosa per migliorare la sua salute e allo stesso imparare a difendersi: era infatti continuamente tormentato dai compagni di scuola che, invidiosi dei successi che riportava negli studi, approfittavano della sua fragile struttura fisica (era alto solo un metro e cinquanta e pesava 48 chili) per malmenarlo, fu così che Kano cominciò ad interessarsi al jujutsu nel quale vide un modo per difendersi da loro. 

Kano arriva a definire la propria idea di jujutsu attorno al 1880 e nel 1882 tra le mura di un piccolo tempio Shintō Eishoji, fonda così il primo Kodokan Jūdō sfruttando una piccola sala  di 12 Tatami. ( Oggi il Kodokan Jūdō è arrivato a misurare la bellezza di 1.206 Tatami.) 
Negli anni successivi, il maestro compì molti viaggi per diffondere il suo amato jūdō nel mondo; nel 1928 e nel 1934 fu in Italia, e visitò i centri judoistici creati da Carlo Oletti. Nel 1938 venne inviato in rappresentanza del Giappone al 12º Convegno del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) al Cairo, che approvò la proposta di far svolgere i Giochi olimpici a Tokyo. Nonostante non considerasse il jūdō uno sport, con il grande obiettivo di divulgarlo in tutto il mondo, il Prof. Kano lavorò alacremente al fine di far riconoscere tale disciplina come sport olimpico.  Il suo desiderio si realizzò, però, solamente nel 1964, quando la manifestazione si tenne a Tokyo. Sfortunatamente il Prof. Kanō era deceduto anni prima, il 4 maggio 1938, a bordo della SS Hikawa Maru, pare a causa di una polmonite contratta durante uno dei suoi innumerevoli viaggi di divulgazione del jūdō.

Cristina De Angelis 


Intervista al Maestro John Armstead

In questo articolo vorrei proporvi un intervista rilasciata alla rivista "non solo fitness" del maestro John Armstead

Il maestro John Armstead è nato il 15 febbraio del 1944 in un piccolo paese dell’Eire, Ennystimon, Co. Clare. A Londra, dal 1961, si dedica all'arte del Kung Fu, frequentando il corso del Sifu Lefty Thomas, Grand Master in Gran Bretagna della Judan Kung fu Karate Academy, diretto discepolo del Grand Master Ky Tomotashi, il quale è fondatore dell'Okinawan Kung fu. John nel 1971 fonda a Roma la prima palestra di Kung Fu di Okinawa (Okinawan Kung Fu Academy ). Ha pubblicato due libri sul Kung fu di Okinawa, il primo nel 1975 e il secondo nel 1983(Edizioni Mediterranee); nel 1993 ha girato il video "La grade scuola delle Arti Marziali - Kung Fu e difesa personale" (Edizioni Eagle Pictures srl). Oggi è il Grand Master di Kung Fu di Okinawa e ha migliaia di allievi sparsi in tutto il mondo, molti dei quali hanno basato sul Kung Fu la loro formazione sportiva per poi diventare campioni in altre discipline come il Full Contact ,Kick Boxing,ecc.Egli ha vinto il premio Old Stars of Martial Arts, un riconoscimento dato ai maestri che insegnano da tanti anni in Italiae che hanno formato centinaia di atleti e istruttori nel Lazio e quindi rappresentano la memoria storica delle arti marzialidella nostra regione.

Ci può parlare brevemente di come è iniziata la sua vita dedita alle arti marziali?

Ho lasciato L'Irlanda a 17 anni nel giugno del 1961 per andare in Inghilterra. Lì conobbi in un pub un ragazzo che faceva delle strane mosse, così gli chiesi: "Cosa stai facendo?" Lui rispose: "Queste sono mosse di Kung Fu Karate!" "Allora, interessato, gli chiesi se avessi potuto anche io praticare quest'arte marziale. Ero curioso!" "Lui però, inizialmente, mi rispose che non potevo partecipare al corso da lui frequentato, perché per essere ammessi bisognava avere dei requisiti particolari. Dopo aver insistito per diversi giorni, lui rispose che avrei potuto avere accesso alle lezioni di Kung Fu Karate, ma che avrei dovuto stare in assoluto silenzio nel dojo e rispettare il regolamento. Inizialmente mi allenai con questo ragazzo che era istruttore, e non vidi mai il Grand Master Lefty Thomas. Dopo due anni durante i quali sentii parlare di lui, un giorno vidi al corso un uomo piccolo di statura. Inizialmente pensai che fosse un altro allievo di Lefty. Lo vidi entrare e colpire un grosso sacco di sabbia: era proprio lui ed era fortissimo! Da quel momento pensai che anche io avrei voluto diventare così abile! Tra gli allievi di Lefty c'erano tre cinture marroni (istruttori), ed io dopo tre mesi, allenandomi con Thomas, raggiunsi il loro livello. Ho fatto passi da gigante allenandomi sempre. Per me quest'arte marziale era diventata uno stile di vita.

Quando iniziò a insegnare quest'arte marziale, nel 1971 all'età di 27 anni in Italia, che approccio si aspettava dagli italiani e quale fu?

Inizialmente non conoscevo nessuno e aprii il corso nella palestra di judo nel quartiere di Monte Mario, perché in quegli anni erano famosi in Italia il Judo e il Karate Goju Ryu. Stiamo parlando di un periodo in cui la fama di Bruce Lee non si era ancora diffusa. Insomma un giorno, mentre mi allenavo colpendo un sacco vecchio, lo distrussi con un pugno per errore! Si sparse la voce di quell'episodio e in poco tempo la palestra fu piena di praticanti

Come si è evoluto nel tempo il rapporto con i suoi allievi sul dojo (palestra)?

Sin dagli inizi del mio insegnamento, il rapporto con gli allievi si è sempre basato, e si basa ancora oggi, sul rispetto, soprattutto sul tatami. Ciò che mi disturba è il fatto che molti miei allievi siano andati via dopo numerosi anni di allenamento ed abbiano aperto dei corsi senza comunicarmelo, utilizzando il nome di Kung Fu di Okinawa, ma insegnando altri stili. Anche se premetto che rispetto ogni tipo di arte marziale e apprezzo le loro diversità. Sono contrario, invece, all'omologazione tecnica dei praticanti. Questo avviene spesso quando l'arte marziale diventa sport. Ciò comporta una riduzione del numero delle tecniche, che devono essere eseguite tutte nello stesso modo. Secondo me, invece, ogni individuo esprime e deve esprimere in modo diverso la propria arte, attraverso corpo, spirito e mente. Un altro punto importante riguarda l'egocentrismo che rischia di svilupparsi nei praticanti. È capitato anche a me, ma è una condizione che va superata. Bisogna ricordarsi di essere sempre umili non solo nel dojo, ma anche nella vita.

Nel primo volume del suo libro è scritto che lei ha partecipato a degli stage di Karate ad Okinawa, ci può raccontare dei dettagli al riguardo e se è rimasto in contatto con dei maestri o allievi?

Nel '67 sono andato per sei settimane con il Grand Master Thomas ad Okinawa per imparare il Karate. Le lezioni duravano 6 ore al giorno per sei giorni a settimana. Partecipavano persone provenienti da molte parti del mondo. Ebbi questa grande opportunità perché ero uno dei migliori allievi di Thomas. Questo stage era durissimo, inizialmente risultavano 250 ragazzi iscritti e alla fine eravamo rimasti solo in 28. Ricordo che ogni giorno, alla fine della lezione, mi facevano male tutti i muscoli, ogni singola fibra e solo dopo un mese circa riuscii ad abituarmi. Alla fine ero diventato prima di tutto forte mentalmente e poi fisicamente.

Ci sono altre palestre che insegnano questo stile nel mondo?

Sicuramente insegnano o hanno insegnato alcuni tra gli allievi più forti del Grand Master Thomas. D. N. ha fondato una palestra in Australia, mio fratello L. A. insegna in Inghilterra e il maestro E. D. in California

Quali sono le sue aspettative per il futuro di questa arte marziale?

Oggi ho all'incirca una ventina di ragazzi di cui mi fido e che spero portino avanti il lavoro che ho cominciato qui in Italia, quaranta anni fa. Purtroppo alcuni hanno lasciato il corso dopo tanti anni e non si sono più fatti vedere. Questo avviene perché molti credono che dopo cinque o sei anni di pratica, una volta ottenuta la cintura nera, il percorso sia completato. Per me questo è quasi un insulto, perché è molto importante, soprattutto per le cinture di alto livello, capire che questa è una via che una volta intrapresa non deve essere abbandonata e deve diventare uno stile di vita

A chi sono rivolti gli stage che organizza, e in cosa consistono?

Gli stage che organizzo sono rivolti a tutti i praticanti di arti marziali e soprattutto a quelli di Kung Fu di Okinawa. Questi incontri consistono in una esposizione di nuove tecniche di autodifesa, ma soprattutto in un allenamento collettivo, durante il quale tutti i partecipanti devono interagire ed essere uniti come una famiglia!

Può citare alcuni suoi allievi che oggi sono diventati dei maestri famosi?

Allora, Pietro Valenti è stato uno dei miei primi allievi. Oggi è cintura nera 7° dan di questa arte marziale e 6° di Kendo, a seguire troviamo Ettore Falzone 7° dan, Marcello Orecchia 6° dan, Vincenzo Carlini 5° dan, Antonio Canzoneri 5° dan, Stefano Viscillo 5° dan, Alberto Zachi 4° dan, Paolo Santilli 3° dan, solo per citarne alcuni. Poi ci sono i maestri che, dopo essere stati miei allievi, hanno fondato o praticato stili differenti come ad esempio Massimo e Paolo Liberati, pionieri della Kick boxing insieme a Mario Carella (4° dan di Kung Fu di Okinawa) e Massimo Fiore, fondatore dello Street fighting sistem, e molti altri

Qual è il modello di educazione che lei utilizza sul dojo?

La prima regola è la disciplina. Questa è una caratteristica del mio metodo di insegnamento che mi è stata tramandata da Thomas. Deve esserci rispetto reciproco tra maestro e praticante, ma deve essere quest'ultimo a dimostrarlo per primo. Per me gli allievi sono come dei figli, eppure sempre più spesso molti di loro abbandonano il corso probabilmente per la rigidità del mio insegnamento

In quale città nasce questa arte marziale e chi fu il fondatore?

Il Kung Fu di Okinawa fu fondato nella città di Naha dal Maestro Ky Tomotashi nel 1922

Il Kung Fu di Okinawa è stato influenzato più dal taoismo o dallo zen?

Sicuramente il Maestro Thomas praticava il mental training tramite lo zen, ma non in senso religioso, piuttosto come metodo di focalizzazione. È preferibile che all'inizio non venga praticato lo zen come meditazione, perchè non viene compreso il suo senso. Invece, dopo dieci o quindici anni, siamo abbastanza forti mentalmente da poter raggiungere la concentrazione necessaria per meditare proficuamente

Il Kung Fu di Okinawa, è influenzato più dal Kung Fu cinese o al Karate giapponese?

Da entrambi in egual misura, ricordiamo che sono solo dei nomi per indicare l'arte marziale. Il nostro stile deriva dal Kenpo cinese praticato a Naha e, come veniva chiamato allora, dal Karate- Kung Fu di Okinawa o Okinawa-Te. Cinquanta anni fa, quando si parlava di Kung Fu e di Karate, si faceva riferimento alla medesima arte marziale. Mi sono diplomato alla Judan Kung Fu Karate Institute, dunquepratico il Kung Fu Karate. Quando, però, dovetti aprire una palestra in Italia, pensai che questo nome non fosse appropriato, allora chiamai lo stile Kung Fu di Okinawa (Okinawan Kung Fu Academy)

Il Karate di Okinawa non prevede capriole, calci volanti, cadute e mosse di jujitsu, che, invece, sono presenti nel Kung Fu di Okinawa. Queste tecniche derivano dal Kenpo cinese, stile velocissimo, dai movimenti sciolti, che insegna leve e bloccaggi. È molto importante godere dell'influenza di questi due stili opposti. Rappresentiamo un'arte marziale rustica ma efficace, che prevede molto contatto e niente protezioni

Ci può raccontare qualcosa in più riguardo il fondatore dello stile, Ky Tomotashi?

Ricordo che era venerato come un dio. Si sedeva e ci osservava durante gli allenamenti. All'epoca aveva 75 anni circa. Era un uomo molto schivo, ma carismatico. Ogni tanto lo vedevo eseguire le tecniche, sempre con un'aria di superiorità

Cosa le ha insegnato questa arte marziale in tutti questi anni?

Ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita ed il praticarla mi ha sostenuto nelle situazioni difficili. L'arte marziale mi ha insegnato la disciplina e mi ha reso forte mentalmente. Il prossimo mese compio 67 anni, ma mi sembra di averne 40 dal punto di vista energetico e, per quanto riguarda l'esperienza, me ne sento 200! Questa è l'arte marziale! Da quando ho cominciato a praticare, sono cambiato spiritualmente ed ho iniziato ad osservare la vita da un'altra prospettiva. Tutti i grandi maestri del passato possono essere definiti tali proprio per il loro spirito: bastava solo il loro sguardo per fare in modo che l'avversario desistesse e rifiutasse lo scontro. La maggior parte di loro erano piccoli di statura ma con un grande forza interiore. Per arrivare a questi livelli bisogna, però, cominciare a praticare le arti marziali da giovani e continuare per tutta la vita

Come era impostato il metodo di insegnamento della Judan Kung Fu-Karate Academy?

Era rigidissimo e molto impegnativo sia a livello mentale che fisico. Thomas mostrava gli esercizi e gli allievi li eseguivano. Inoltre, allenava personalmente e duramente solo le cinture marroni e nere. Voleva prepararci a combattere contro ogni difficoltà ed in ogni situazione

Cosa può dirci riguardo al Kung Fu di Okinawa e il suo rapporto con lo sport?

Molti miei allievi sono diventati campioni di kick boxing e full contact perché il Kung Fu di Okinawa garantisce un'impostazione molto simile a quella necessaria per praticare queste due discipline. Comunque i combattimenti sportivi comportano delle regole che limitano il praticante di arti marziali, rendendolo privo di un metodo personale. Bisogna colpire con determinate tecniche, ad una certa velocità, in tempi ben definiti. Credo anche che il vincere gare ed ottenere riconoscimenti sia superfluo per la formazione di un artista marziale

Cosa differenzia il suo attuale tipo di insegnamento da quello praticato da Thomas?

Con il tempo sicuramente tutti cambiamo, mentalmente, fisicamente e spiritualmente e questo avviene soprattutto per un artista marziale. Dopo diversi anni mi sono reso conto che il mio modo di insegnare quest'arte e di praticarla era mutato ed assomigliava solo per il 40% al metodo usato da Thomas. Per questo dico, per esperienza, che uno stile definito non esiste, ma si evolve insieme al praticante

Qual è l'importanza che riveste il fatto che l'arte marziale resti fedele alla tradizione e non si faccia influenzare dalle degenerazioni dello sport?

Innanzitutto è importante per la persona, per il suo lato interiore. L'arte marziale ti rimane dentro insieme ai suoi insegnamenti. Il praticante di arti marziali sa chi è veramente, e non ha nulla da dimostrare a nessuno. Dunque, preservare la propria arte è il miglior modo per crescere

Cosa migliora il Kung Fu di Okinawa a livello educativo nella persona?

Migliora tutto! Ogni volta che vai in palestra e ti alleni sei una persona migliore, perché hai compiuto un sacrificio per rimanere fedele ai tuoi propositi e raggiungere alcuni obiettivi. Questo è appagante per il maestro!

Possono essere ritenuti il corpo, la mente e lo spirito le dimensioni fondamentali dell'educazione fornita da un'arte marziale?

Certo, questi tre aspetti migliorano grazie al rispetto che si ha verso se stessi e l'arte marziale. Per esempio è importante, soprattutto per un ragazzo giovane, portare sempre il kimono e la cintura, essere rispettoso nei confronti del dojo, delle cinture superiori e del maestro.

La disciplina e la serietà sono importantissimi. Oggi i giovani sono molto attratti, ad esempio, dalla violenza, ma se venissero in palestra ad allenarsi, dopo 10-15 anni diventerebbero persone per bene e certe idee non li sfiorerebbero.

Ci sono tanti ragazzi che praticano arti marziali e non rispettano le regole comportamentali richieste, allora io mi arrabbio, perché prendono in giro se stessi e me. Solo con il tempo, con il rispetto e l'umiltà si raggiunge l'educazione. A quel punto migliorano anche le proprie prospettive e l'atteggiamento verso la vita diventa più positivo e così anche l'arte marziale progredisce.

Allenamento e combattimento insegnano che non c'è niente di irraggiungibile. Può succedere che a volte sembrino non esserci miglioramenti nonostante l'allenamento costante, ma questo è un normale processo.

Molti, in questi casi, lasciano l'arte marziale. Io ritengo sia sbagliato: in queste situazioni bisogna impegnarsi 10 volte di più e superare l'atteggiamento mentale di demoralizzazione, che, purtroppo, insorge nel 90% dei ragazzi. Mi ricordo che, ogni volta che finivo di girare un film o una pubblicità, la prima cosa che facevo era cercare una palestra per allenarmi. Anche dopo 10-15 ore di lavoro, la sera facevo un'ora di allenamento e questo mi "salvava". Dopo ero più forte di prima! Sono cinquanta anni che mangio e bevo l'arte marziale e grazie ad essa oggi sono ancora pieno di energia.

Per quanto riguarda il combattimento, invece, si è da soli, non è un gioco. Anche in questo caso conta tanto il fattore mentale. Bisogna pensare che si può essere di fronte a chi vuole fare del male a noi o a qualcuno a noi caro ed essere pieni di energia e affrontare la situazione.

Ma il nostro stile non è fatto per uccidere o aggredire, chi lo pratica deve sempre tenere a mente che deve dosare le proprie forze in base a colui che si trova di fronte. Io non faccio mai la prima mossa, ma se qualcuno mi vuole attaccare, mi devo difendere!

Qual è l'importanza del ruolo educativo del maestro nel Kung Fu di Okinawa?

isogna essere come un capofamiglia, avere la situazione sotto controllo ed esigere il rispetto, non solo nei propri confronti, ma verso tutti i partecipanti del corso. Il ruolo del maestro è importantissimo, egli offre la sua tecnica e la sua energia. Anche l'importanza di riconoscere i propri errori durante l'insegnamento fa parte del percorso del maestro, che è un processo di crescita

Cosa rappresentano i tre simboli del Kung Fu di Okinawa?

Lo scudo con le spade incrociate rappresenta la cultura del Kung Fu con tutti i suoi stili, il simbolo circolare con fondo rosso, scandito da tre segni neri falciformi riuniti al centro, rappresenta il Karate di Okinawa, lo Yin e Yang rappresenta il giusto equilibrio tra morbidezza e durezza

Dall'intervista possiamo dedurre molte osservazioni importanti. La prima è senz'altro l'importanza dello spirito con cui il maestro John ha intrapreso quest'arte marziale, uno spirito rivolto più verso l'autodifesa e il combattimento.

Difatti ai quei tempi gli unici elementi che potevano essere ritenuti pedagogici li forniva la filosofia orientale, per chi la seguiva, e l'obbligo di difendere i più deboli che veniva assiduamente insegnato dai maestri di allora. Quindi possiamo affermare senza ombra di dubbio che la radice di quest'arte marziale com'è arrivata in Italia, come la maggior parte delle arti marziali giapponesi insegnate in occidente, ha avuto una valenza più aggressiva che educativa.

Un altro punto importante riguarda il successo con cui quest'arte ha preso piede, un successo basato soltanto sulla potenza con cui poteva essere messo k.o. un avversario, il quale diventava il centro dell'insegnamento di tutto il corso. Sembra essere proprio questa la causa della nascita dell'egocentrismo dell'artista marziale, il quale si focalizza solo sulla propria forza in combattimento dimenticando il rispetto nei confronti dell'essere umano.

Caratteristica dell'arte in questione nei primi anni in Italia è lo stile di insegnamento autoritario. Si impone la disciplina e il rispetto nei confronti del maestro e delle cinture superiori. Uno stile di insegnamento in cui solo i più forti potevano continuare (difatti moltissimi allievi lasciavano il corso per la durezza psicofisica a cui erano sottoposti).
Altro punto importante è l'argomento stage. L'idea è nata senza dubbio a scopo di rendere il Kung Fu di Okinawa una famiglia. Dato che molti praticanti che sono in seguito divenuti maestri hanno avuto l'idea di aprirsi i più disparati corsi che insegnavano di tutto (ma non volevano stranamente definirsi Kung Fu di Okinawa), è stato senz'altro di enorme aiuto l'organizzazione di stage periodici per riunire i vari maestri e potersi in questo modo conoscere ed imparare osservando gli altri maestri e gli altri corsi.

Ancora più importante ed educativo risulta essere la partecipazione da parte di chiunque voglia, anche praticanti di altri stili di arti marziali, agli stage. Per cui si delinea senz'altro nello stage un elemento educativo di quest'arte molto importante.

In sintesi quest'arte marziale nasce in Giappone ma quando viene importato in occidente comincia a perdere tutta l'aura filosofica orientale che c'è intorno, privilegiando l'aspetto fisico, più che quello mentale e spirituale. Lo stile arriverà in Italia con un successo sproporzionato grazie anche ai film di Bruce Lee. In Italia viene mantenuto uno stile di insegnamento autoritario ma il solo fatto che il corso diventa pubblico apporta delle importanti modificazioni educative.

Molti allievi lasciano il corso perché non riescono a portare avanti gli allenamenti troppo duri, e di conseguenza l'arte marziale comincia ad adeguarsi sempre di più alle esigenze dei praticanti.


TAEKWONDO

IL TAEKWON-DO ITF – ITERNATIONAL TAEKWON-DO FEDERATION-
Il Taekwon-do è una arte marziale moderna coreana i cui ideogrammi (태권도) significano letteralmente:
태 TAE – Calciare in volo
권 Kwon – Pugno
도 Do – Arte, via
Il Taekwon-do nasce, grazie all’opera del suo fondatore Generale Choi Hong Hi (1918- 2002), ufficialmente l’11 Aprile 1955 avanti un’assemblea di Maestri ed esponenti dell’allora governo coreano. Il 22 marzo 1966 nasce la federazione a cui facciamo riferimento nei nostri corsi ovvero l’INTERNATIONAL TAEKWONDO FEDERATION (ITF) attraverso cui il Gen. Choi Hong Hi comincia a diffondere il Taekwon-do. Nel mondo.

Attualmente è considerata la disciplina marziale più praticata al mondo.
Le competizioni sportive si svolgono su 5 specialità:
1. SPARRING. Il Combattimento sportivo prevede un light contact e 2 round da 2 minuti. Di seguito un breve filmato esplicativo delle regole:
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2. TUL. Le Forme. Rappresentano un combattimento immaginario con una o più persone, sono in totale 24 e so uguali in tutto il mondo. Devono seguire alcuni criteri per essere eseguite correttamente: Contenuto tecnico, potenza nell’esecuzione, equilibrio, respirazione, e il tipico movimento “ad onda” del taekwon-do ITF.
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3. Tecniche di rottura.

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4. Tecniche speciali. In questa specialità vengono messe alla prova le capacità più acrobatiche degli atleti.
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5. Combattimento tradizionale. Sono combattimenti prestabiliti senza protezioni tra due contendenti dove vi è un contatto reale (tra attacchi e parate). Vengono utilizzati attacchi e parate tradizionali e acrobatiche con lo scopo di difendersi ed attaccare.
<iframe width="560" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/zltWtzKbSL8" frameborder="0" allow="autoplay; encrypted-media" allowfullscreen></iframe>+

 

autore Paolo  Verticchio

 


Perché un corso di Ryu Kyu Kung Fu dedicato ai più piccoli?

La ricerca scientifica documenta da tempo quanto la PRATICA DELLE ARTI MARZIALI, proprio come qualsiasi attività corporea strutturata, procuri benefici a livello psico-fisico

È stato infatti più volte messo in evidenza che la pratica delle arti marziali ha, in particolare durante l’età dello sviluppo, effetti estremamente positivi sulla capacità empatica, facilita e migliora la consapevolezza dei propri bisogni e, certamente, è un’opportunità efficace sulla gestione delle emozioni negativeLe arti marziali insegnano il silenzio, la dignità, l’ubbidienza, il rispetto nei confronti dei compagni, del maestro e del mondo. Insegnano a muovere il corpo e a sopportarne l’immobilità.
Quando si impara un’arte marziale, una regola è chiara fin dall’inizio: le tecniche apprese verranno utilizzate per difendersi e mai per aggredire.

I ragazzi e le ragazze avranno modo di sperimentare il RYU KYU KUNG FU avvicinandosi alla disciplina con un approccio tecnico e ludico nello stesso tempo: esercizio, gioco, controllo, difesa personale e disciplina per elevare la conoscenza, il senso civico e la convivenza civile.

Perché praticare Ryu Kyu Kung Fu da piccoli

si crea una positiva immagine di se stessi (attraverso la sperimentazione delle proprie capacità, la valutazione dei propri progressi, l’aumento della propria autostima)

si acquisisce una maggiore consapevolezza della natura umana (attraverso l’interazione con altri, la maturazione emotiva, l’uso della comunicazione non verbale, la sperimentazione dell’empatia, l’assunzione della cura dell’altro)

si sperimentano relazioni significative (attraverso rapporti collaborativil’impegno per raggiungere una meta, il rispetto della forma)

si usa la moderazione, il giudizio e il discernimento (attraverso il riconoscimento dei valori etici fondativi delle regole del vivere sociale)

si rafforza il coraggio e il controllo delle reazioni

ci si sente più attivi imparando allo stesso tempo a concentrarsi e a dosare forza e tranquillità

si collega mente e corpo (anche attraverso un uso della respirazione corretto)

 

Cosa si impara in un corso di Ryu Kyu Kung Fu

esercizi per la mobilità del corpo: primi approcci ai movimenti di base (bon-sao. tan-sao, jam-sao) e la movimentazione nello spazio (tecniche di apertura con uscita dall’energia e dalla traiettoria), giochi di lanci e prese …

esercizi per la percezione del proprio corpo nello spazio: posizione fondamentale statica, guardia statica e in avanzamento, pugni/passo, teoria e pratica dei pugni (frontali, nelle varie direzioni, in movimento con cambio fronte), principi del calcio anteriore e posteriore pugni a catena, giochi bendati …

kihon esercitativi

kata delle forme base del Ryu Kyu Kung Fu